Agenzie di comunicazione? Ma anche no! (prima parte)

Più di due anni fa, su suggerimento di un’amica, decisi che era arrivato il momento di far fare un salto di qualità al mio brand: renderlo più visibile, più popolare, più autorevole.

A tal proposito, pensai che la cosa migliore fosse affidarsi a un’agenzia di comunicazione, ossia a persone esperte, appunto, di comunicazione, che mi aiutassero a raggiungere il mio obiettivo con specifiche strategie digitali e commerciali.

Nel giro di due anni ho cambiato due agenzie e, in entrambi i casi, i risultati sono stati pessimi, per motivi diversi.

Prima di raccontare cosa è successo, una doverosa premessa: la mia esperienza è, come ovvio, soggettiva e, nonostante il titolo dell’articolo, non vuole rappresentare la totalità delle agenzie di comunicazione.

Esattamente come accade nel mio lavoro, dove molti ciarlatani, non sapendo cosa fare della propria vita professionale, si improvvisano formatori (con gli ovvi risultati), credo che anche il settore del digital marketing & communication sia assolutamente abusato, perché va di moda e perché non esistono particolari vincoli didattici o legali necessari per poter svolgere questo lavoro. Questo non significa che tutte le agenzie di comunicazione (così come tutti i formatori) siano poco seri o poco professionali.

Significa semplicemente che, come in ogni ambito, è bene informarsi prima di scegliere, chiedendo referenze e valutando attentamente i risultati precedentemente raggiunti.

E ora, ecco qual è la stata la mia esperienza.

 

La prima agenzia

Per scegliere la prima agenzia, approcciandomi a un mondo che non conoscevo, ho fatto “alla vecchia maniera”: ho chiesto ad amici più esperti di me di indicarmi qualche contatto.

Dopo aver parlato con varie agenzie e ricevuto preventivi ben confezionati, ma parecchio fumosi, mi ricordai di conoscere una persona che, da tanti anni, lavorava nel mondo degli eventi aziendali.

Contattai questa persona e lei mi disse di conoscere l’agenzia che poteva fare per me, con cui collaborava da anni.

Si trattava di un’agenzia di Milano, ben strutturata (più di 500 dipendenti), che aveva clienti molto importanti. Si trattava soprattutto di un’azienda informatica, che però forniva appunto anche i servizi che cercavo.

Stipulammo un contratto di un anno che prevedeva che io pagassi da un lato la persona che avevo contattato, che mi avrebbe fatto da consulente e da “filtro” con l’agenzia, dall’altro l’agenzia stessa, per fornirmi alcuni specifici servizi (analisi iniziale, piccoli interventi sul mio sito, produzione e pubblicazione di un piano editoriale mensile per i social, reportistica).

Il tutto alla “modica” cifra di circa 15.000 euro annui (IVA esclusa, eh).

Per la parte più grossa, ossia quella del piano editoriale social, mi venne assegnata una risorsa. Risorsa che non conosceva nulla del mio settore e dei miei argomenti e che, pertanto, non avrebbe potuto scriverne nel modo giusto, quantomeno non subito.

Il risultato furono dei post da mettersi le mani nei capelli: contenuti pessimi, argomenti banali e, soprattutto, errori grammaticali e refusi a go go.

Ecco, questa fu la cosa che mi fece innervosire di più: io mi occupo di comunicazione e i miei post non solo devono essere precisi dal punto di vista contenutistico, ma anche perfetti dal punto di vista grammaticale.

Questa situazione, che si ripeteva costantemente ogni mese, mi fece capire che la risorsa che mi avevano abbinato non era per niente attenta, né motivata, nel seguirmi come cliente (anche perché, dopo qualche tempo, i contenuti avrebbe dovuto conoscerli o, quantomeno, studiarseli un minimo).

E c’è di più: furono diversi i casi in cui si dimenticò di postare i contenuti stabiliti nella data stabilita ed ero sempre io che dovevo avvisare la famosa “consulente” della cosa (quando, in realtà, se ne sarebbe dovuta accorgere prima lei, dato che la pagavo proprio per far sì che le cose tra me e l’agenzia funzionassero in modo fluido).

Inoltre, man mano che il tempo passava e io mi inasprivo sempre di più, capii bene tutta la situazione in cui mi ero andato a cacciare: per questa grande agenzia di Milano, io ero l’ultima ruota del carro. Avendo loro clienti con nomi (e budget) altisonanti, il “piccolo” Luca Talamonti contava ben poco e, tra l’altro, non facevano molto per nasconderlo: quando scrivevo delle mail per essere aggiornato su alcuni progetti, a volte non ottenevo risposta, mentre altre la ottenevo dopo giorni di attesa e di solleciti, sentendomi anche dire in alcuni casi “scusa, mi sono dimenticato di risponderti”.

Come “scusa mi sono dimenticato di risponderti”?! E se io mi dimenticassi di pagarti a fine mese, per te andrebbe bene?!

Ebbene, dopo un anno di calvario e lamentele varie (e di soldi sborsati), finalmente questa agenzia ammise che la risorsa che mi avevano assegnato non andava bene e che il lavoro fatto non era stato dei migliori.

Mi venne dunque proposto di affidarmi un team composto da 3 risorse giovani e molto in gamba (fra grafici, copy e creators), chiedendomi ovviamente un cospicuo aumento del budget.

Accettai ed effettivamente le nuove risorse sapevano il fatto loro: lavoravano bene, erano costantemente sul pezzo, avevano belle idee. E soprattutto, scrivevano bene e facevano degli ottimi post.

Il problema, però, era sempre il solito: ogni volta che c’erano delle cose più grosse di cui parlare, non riuscivo a comunicare con chi decideva, perché venivo snobbato costantemente.

Inoltre, nel mio lavoro può capitare che salti fuori un corso o un evento dell’ultimo minuto e di volerci dedicare un post, ma questo, per l’agenzia, rappresentava sempre un problema: “Il PED (piano editoriale) del mese è stato già stabilito, noi lavoriamo in modo strutturato e chiederci di fare dei post extra dell’ultimo minuto per noi non va bene”. Insomma, elasticità zero.

In tutto ciò, infine, capii in modo chiaro una cosa che forse avrei dovuto intuire prima: nonostante la pagassi 6000 euro (+ IVA eh) l’anno, la persona che mi faceva da consulente e da tramite con l’agenzia faceva molto più gli interessi di quest’ultima (con cui aveva e credo abbia tutt’ora in ballo vari business), piuttosto che i miei.

Di conseguenza, dopo 16 mesi di collaborazione e varie migliaia di euro sborsate, decisi di interrompere il contratto.

Cosa ho ottenuto?

Beh, sicuramente mi hanno suggerito bene, quando mi hanno detto che avrei dovuto cambiare il mio logo e rifare il mio sito (entrambe cose che ho pagato a parte, e molto volentieri, al mio bravissimo web designer). E poi ho imparato tanto: ho imparato a fare un piano editoriale come si deve e a impostare una strategia comunicativa in autonomia.

Per il resto, tanti soldi buttati: SEO inesistente, campagne pubblicitarie sui social (pagate anch’esse a parte) con zero risultati, post pessimi e… tanto tempo sprecato.

Mi dissi che, probabilmente, avevo sbagliato agenzia: questa era troppo rigida, troppo grossa, troppo concentrata su una clientela molto diversa dal “piccolo libero professionista”.

E così mi affidai a un’agenzia completamente diversa.

E andò peggio. Molto peggio.

[Continua…]

 

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